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Moretti (FS) ha ragione: se lo Stato pagherà poco i manager, solo le pippe lavoreranno per le sue aziende

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L’attuale Ad di Ferrovie dello Stato, nonché ex segretario nazionale della Cgil Trasporti, Mauro Moretti, stamane, commentando la possibilità che il governo intervenga per falcidiare gli stipendi dei manager pubblici, ha detto delle assolute e sacrosante verità/ovvietà:

«Lo Stato può fare quello che desidera, sconterà poi il fatto che buona parte dei manager vada via: questo lo deve mettere in conto».

«Io prendo 850 mila euro all’anno, il mio omologo tedesco ne prende tre volte e mezzo tanto, siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna avere anche la possibilità di retribuire non dico alla tedesca e nemmeno all’italiana ma in maniera da poter far sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate, dove ci sono da prendere rischio ogni giorno».

«Ci sono forse dei casi da dover rivedere, ma la logica secondo cui uno che gestisce un’impresa che fattura 10 miliardi deve stare al di sotto del presidente della Repubblica è una cosa sbagliata. Sia negli Usa che in Germania, sia in Francia che in Italia il presidente della Repubblica prende molto molto meno di quanto prendano i manager di impresa».

Grosso modo è quanto il sottoscritto scriveva qualche giorno fa su Facebook:

Lo stato non dovrebbe possedere aziende, fare l’imprenditore: qualunque società pubblica, oggi esistente, andrebbe privatizzata. Ciò premesso, codeste aziende devono essere amministrate bene e da bravi manager, altrimenti producono (ancor più) perdite. Se il privato offre loro parecchi danari, per ricoprire incarichi apicali, il pubblico non può che fare altrettanto. Il rischio, altrimenti, è che, nelle società pubbliche, finiscano per lavorare solo le pippe, quelli che si accontentano di pochi soldi perché non hanno talento. Ecco, chi propone semplicisticamente di pagare poco i manager pubblici («Non più alto del Colle»), non offre una soluzione: ma un rimedio che aggraverebbe i problemi.

Meglio licenziare, da Roma in giù, 500.000-1.000.000 di dipendenti pubblici “comuni”.

Ah, già, è una proposta liberista e di destra, dunque non può essere formulata perché non fa «lotta di classe contro i ricchi» (roba molto alla moda, ultimamente).

Fa d’uopo aggiungere anche un’altra cosetta.

Le municipalizzate, ad esempio, hanno i conti in rosso, in alcuni casi, non perché paghino troppo i manager, ma perché danno troppi posti di lavoro “comuni” ai clientes dei politici. A dirlo, non certo il pirla che qui scrive, ma uno studio, di cui ci si è già occupati, denominato Capitalismo municipale, elaborato dall’Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione (Irpa):

«In questo senso, i dati, sopra visti, relativi alla crescita del numero degli occupatisoprattutto nelle partecipate che operano nel settore delle local utilitiesin controtendenza con gli attuali dati dell’occupazione a livello nazionale, sono decisamente emblematici di un uso dello strumento societario funzionale alla distribuzione di posti e prebende, piuttosto che al perseguimento di utili o al soddisfacimento degli utenti.

(…) L’aumento delle assunzioni stride decisamente con le perdite registrate dalla maggior parte delle partecipate locali, in particolar modo da quelle che operano nei settori del trasporto e dei rifiuti.

Secondo i dati raccolti dalla Corte dei Conti, il 32,4% delle partecipate comunali è in perdita. Tra queste, il 40% gestisce servizi pubblici locali e, all’interno di questa percentuale, il 60% di tali attività in perdita attiene al settore idrico e dei rifiuti, mentre il 35% ai trasporti (…)».

Ancora sull’argomento si può citare il caso della NapoliServizi, la municipalizzata partenopea definita dal Corriere della Sera «feudo del Pd, degli ormai ex bassoliniani»:

«Nel 2001, quando diventa operativa, ha 400 dipendenti, tutti ex lavoratori socialmente utili con contratto a tempo determinato. L’anno seguente ne arrivano altri 44, poi la crescita diventa quasi esponenziale, 470 assunzioni nel 2003, nel 2007 altre 500. Nel 2008, l’anno della grande crisi dei rifiuti, il Comune annuncia solenne l’intenzione di dismetterla. Poi ci ripensa e stanzia 50 milioni da mettere a bilancio per ripianarne i debiti. Nessuno si fa domande sulla causa dell’indebitamento di una società così giovane, e per giustificare l’esborso vengono aggiunte nuove competenze come le pratiche di condono, gestione del catasto urbano e dei terreni, la gestione di eventi sportivi e la vigilanza armata nei parchi, attività che richiede altri esborsi e assunzioni, perché molti dipendenti della società hanno qualche precedente penale, come ammettono i sindacati interni, e per legge non possono certo girare con la pistola alla cintura».

Ma è meglio, ovviamente, fare demagogia e populismo: paga di più.

Molto di più.




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